La recensione di The Girl With the Needle, a cura di Paolo Perrone.

Una favola nera, sospesa fra mostruosità e candore, colpa ed innocenza, ispirata ad una storia vera che in Danimarca, alla fine del primo conflitto mondiale, suscitò sconcerto e sgomento. Il terzo lungometraggio di Magnus von Horn, classe 1983, svedese d’origine ma da quasi vent’anni residente in Polonia, è una storia di sofferenza e sopravvivenza dagli echi dickensiani e dai riflessi horror: un thriller dell’anima, specchio di una società devastata, con addosso le ferite e le cicatrici dalla Grande guerra, emarginata e osservata dai piani bassi della scala sociale, da una giovane operaia di una fabbrica tessile che, nella Copenaghen del 1918 si ritrova sola, senza il marito disperso al fronte, abbandonata sul punto di risposarsi dal nuovo fidanzato, il direttore dello stabilimento, disoccupata perché costretta a licenziarsi, e incinta, in attesa di una bambina non desiderata.

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